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Ototopiam itinere

    Uno scopo della teoria ototopica è mettere alla prova su quello che appare un oggetto irrilevante: la tesi che un sistema ha un processo sottostante, che ogni regolarità e coerenza scaturiscono da una sottostante fluttuazione.

    In itinere

    Passato <= passo, spostamento, transito, trasferimento, traversata.

    La teoria del passaggio possibile strumento a favore del tratto di minino impatto, si vuole essere all’origine di diversi casi di apprendimento inconsapevole.
    La teoria è stata, nel tempo, oggetto di approfondimenti che hanno portato alla generazione di tecniche originali di approssimazione al passaggio ultimo.
    Amplificando i possibili scenari si sono diffuse tecniche originali di accomodamento dello scarto minimo, tutte però relative alla  conquista di una consapevolezza del passaggio possibile.

    Riguardo la difficile verifica della teoria del passaggio possibile, è probabile che la causa possa ritrovarsi nella diffusione della costrizione alla doppia percorrenza. Secondo questa azione tanto coercitiva quanto indotta inconsciamente, intesa anche come metafora del passo assistito, sarebbe l’uso al “passato distopico” un potente persuasore, necessario alla verifica del reale, nel pieno rispetto della fondatezza scientifica.

    Il camminamento del soggetto consapevole, nel proprio esistere, quale identità calata lungo una temporalità direzionale che si invera senza mai definirsi in assoluto.

    Qualunque assunzione atta a definire lo stato del quale siamo parte, promette il disvelamento e nel contempo si ri-formula ad ogni scarto temporale alla stregua di un miraggio. Un processo morganatico che è inteso vero, reale, solo se ci si lascia sfiorare da esso, senza proporsi di afferrarlo materialmente.

    Ecco allora come facilmente possiamo utilizzare le trame della superfice per sentire la scansione espressa dalla tessitura di segni che ricopre la strada. Ne riconosciamo la funzione di spartito, continuamente cancellato, corretto, riscritto, sottolineato e ancora cancellato, in un processo fluido, continuo.

    Ogni passo, intende affrancarsi dall’incessante pretesa di gravità. Separa il prima dal dopo con un andamento ritmato. Ossa che scarta la statica dell’eterno, si fa servente alla fibra nervosa, ne condivide la sfida al resistere dell’asfalto.

    Il peso materico dell’ancora non percorso che naturalmente condivide ogni percorso nella necessità di farsi narrazione, avverte della sua difficile affezione.

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    La centralità del camminamento è funzionale alla predominanza dell’espressione, in cui il corpo, strumento subito, diviene metafora e agente di rappresentazione.

    Il possibile oggetto della ricerca è nella convalida, tutta autoreferente, del presupposto ad una esigenza vitale, quella di fissare bisettrici tra i vortici angolari prospettici che assorbono la nostra attenzione e ne aspirano l’essenza a noi sconosciuta.

    La spazialità prospettica, rivelatrice del qui ed ora ha quindi necessità di una bisettrice. Un passo dopo passo, costruttore di equilibrio.

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    Scandire attraverso scostamenti del percepito il materico delle superfici che, ad ogni passo, si scontrano con il nostro corpo, quasi a sollecitarlo ad una continua attenzione.

    Nella rappresentazione che le movenze di quei passi offrono al circostante altro osservante, potrebbe offrirsi un viatico per la perfetta tessitura dello spazio necessario.

    Un trasalimento, all’apparenza del tutto insignificante, potrebbe quindi annunciare una radicale trasformazione nell’intera dinamica psicologica dell’auto-rappresentazione. L’epifania dell’organismo.

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    Il momento dell’impatto con il pianeta, attrito che assume vantaggio dalla sua sconfitta annunciata, genera il culmine significante. La scansione temporale e spaziale tra due condizioni vaporosamente addensate intorno alla mirabile illusione di Sé assolve al compito dettato dalla necessità.

    Il passo, appunto di un progetto improvvisato o cardine di un costrutto assertivo, enuncia sul grande spartito dei possibili percorsi, i continui stati della struttura servente.

    Dice del suo continuo compilare e di ogni risultato, distribuendo conseguenze senza giudicare.

    Questa azione non si ripercuote contro l’azione del camminamento, tanto che porta invece un costante aggiornamento del baricentro; è l’agire tra gli uomini, è la vita pratico-etica intesa nel senso della linea direzionale necessaria.

    A questo proposito è importante imparare a leggere la mappa delle possibili direzioni, segnata sulla pelle del mondo.

    Acquisire un approccio prospettico contestualizza un possibile fraintendimento. In cardine visivo del punto di arrivo. Aiuta a collimare le proporzioni con un orizzonte necessariamente sempre “altro” da noi.

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    Così quando, abbandonati alla convinzione di essere, spazialmente definiti e percettivamente distinti dal “fuori da noi”, turbati forse dal provvisorio che ci insegue e ci consuma, opponiamo alla finitudine il passo della speranza. Lo calchiamo forte per vincere uno sconfinamento dell’intimo percepirsi identitario nel collasso spazio-temporale dell’assenza. Passo dopo passo.

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