Una seconda impostazione
Luce+fato+identità è il racconto di una installazione si consolida attraverso la costruzione di trasparenze che si offrono in un racconto di luce. La composizione si sviluppa con una disposizione nello spazio di lastre in plexiglas con un movimento saettante, nervoso. Una costante tensione nel percorso che lo sguardo sostiene, affronta. La tensione propedeutica a un’attenzione in continuo cimento, una lettura messa alla prova dalle “linee forza” percettive nei movimenti dei piani trasparenti. Non è un bilanciamento che si ricerca ma bensì l’asimmetrico dinamico, lo stato distonico del precetto messo in dubbio, indagata sequenzialità dei tempi di fruizione.
All’interno delle lastre contrapposte scorre la pressione della superficie trasparente. Una compressione della pellicola potenzialmente dinamica, causata dallo spazio ridotto. Il caso ha operato una scelta definitiva; le lastre e il foglio di nylon trasparente, materialità apparentemente contrapposte si trovano ad essere intimamente complici, custodi di una conformazione spaziale concepita in concorso, in cui il significato, sospeso, sfugge formalizzazioni a priori. Con la conformazione Luce+fato+identità si vuole impedire il decadimento di quei potenziali evocativi che, connaturati alla consapevolezza e quindi all’affermazione dell’esistere, donano allo sguardo che percorre le tracce una possibilità di scegliere direzioni sempre nuove, percorsi ipotetici di evocazione.
Le forme di plexiglas incapsulano, proteggono ma contemporaneamente mostrano, si fanno penetrare. L’installazione Luce+fato+identità accoglie all’interno le lastre radiografiche che testimoniano delle tracce fantasmatiche, fissate da raggi x, tracciano il profilo di un volto, uno per vertice; quelli di un anziano e di un bambino. Ed è appunto nel complesso equilibrio degli estremi, nella disposizione polarizzata degli elementi, che si custodisce il punto focale del passaggio dal tutto al Sé. Nella disposizione delle tracce radiografiche la disposizione contrapposta, evoca quel fenomeno dissipativo che comporta una caduta della differenza di un “io sono” distinto dal tutto.
Le due polarità evocative, poste in direzioni di lettura opposte e speculari, confermate l’una nell’altra, sono intesi gli estremi significanti di un nucleo caos, di un chiasmo che vive nell’installazione Luce+fato+identità.
Il soggetto, qui per sua natura oggetto, è ipotesi in divenire, campo scelto d’attenzione e perciò dell’esperienza. Esperienza sedimentata ed esperienza dinamica in tempi percettivi molteplici, ma paralleli. Dove il perdere un ritmo, in modo più o meno cosciente, determina la deriva, lo scarto rispetto al previsto, per quel passaggio ad una posizione temporale significante. Situazione del “io sono” su di un piano “altro”, straniero. E così il procedere di una molteplicità di riposizionamenti in una continua variazione del piano di lettura della narrazione e del senso dell’accadimento. È il succedersi, nel nostro continuo dialogo interno, delle ricostruzioni di quelle esperienze vissute per approssimazione, come quella che narra di una entità immutabile, uguale a sé stessa, che testimonia della consapevolezza autoreferente.
I modelli spaziali originati da un caso guidato, fisico e metafisico (un “Fato”?), si mostrano quali ipotesi delle possibilità offerte dal Caos in Luce+fato+identità. Il punto focale del passaggio dall’“io sono” a “forse altro” prende vita nella percezione della traccia organica della lastra. Superficie di risulta sulla quale si raccordano le ombratili tracce del corpo. Tracce con cui conviviamo in continuo confronto.
LIGHT+PHATE+IDENTITY
The installation -Luce+fato+identità- is consolidated through the construction of transparencies that offer themselves in a tale of light. The composition develops with an arrangement of Plexiglas sheets in space with a lightning-fast, nervous movement. A constant tension in the path that the gaze sustains and confronts. The tension is preparatory to an attention that is constantly being tested, a reading put to the test by the perceptive “force lines” in the movements of the transparent planes. It is not a balance that is sought but rather the dynamic asymmetry, the dystonic state of the precept questioned, investigated sequentiality of the times of fruition.
The pressure of the transparent surface flows inside the opposing slabs. A potentially dynamic compression of the film, caused by the reduced space. Chance has made a definitive choice; the slabs and the transparent nylon sheet, apparently opposing materialities, find themselves to be intimately accomplices, guardians of a spatial conformation conceived in competition, in which meaning, suspended, eludes a priori formalisation. The aim is to prevent the decay of those evocative potentials that, inherent in the awareness and therefore in the affirmation of existence, give the gaze that travels along the traces the possibility of choosing ever new directions, hypothetical paths of evocation.
The Plexiglas forms encapsulate, protect but at the same time show and penetrate. They contain X-ray plates inside, bearing witness to phantasmal traces, fixed by X-rays, tracing the profile of a face, one on each vertex; those of an old man and a child. And it is precisely in the complex balance of the extremes, in the polarised arrangement of the elements, that the focal point of the passage from the whole to the Self is preserved. In the arrangement of the X-ray traces, the opposing arrangement evokes that dissipative phenomenon which involves a fall of the difference of an “I am” distinct from the whole.
Two evocative polarities, placed in opposite and specular directions of reading, confirmed in each other, are understood to be the signifying extremes of a chaos core.
The subject, here an object by nature, is a hypothesis in the making, a chosen field of attention and therefore of experience. Settled experience and dynamic experience in multiple but parallel perceptive times. Where the loss of a rhythm, in a more or less conscious way, determines the drift, the deviation from the expected, for that passage to a significant temporal position. Situation of the “I am” on an “other”, foreign plane. And so the proceeding of a multiplicity of repositionings in a continuous variation of the reading plane of the narration and of the sense of the happening. It is the succession, in our continuous internal dialogue, of reconstructions of those experiences lived by approximation, such as the one that narrates of an immutable entity, equal to itself, which testifies to self-referential awareness.
The spatial models originated by a guided, physical and metaphysical chance (a ‘Fate’?), show themselves as hypotheses of the possibilities offered by Chaos. The focal point of the passage from “I am” to “perhaps other” comes to life in the perception of the organic trace of the slab. The resulting surface on which the shadowy traces of the body are connected. Traces with which we live in continuous confrontation.