Storico e responsabile didattico dell’Istituto Storico Trans-generativo. Autore di una biografia storico-derivazionale sul Gap Storico Ototopico.
Fondatore della Tildo Sacchini School (TSS), prima Fraternità Ototopica Universale. Raccoglie l’eredità del Circolo di Studi Dinamici fondato nel dicembre 1758 da Ugobaldo Sacchini. La scuola raggiunge l’ampliazione del Metodo Libero dell’Istoria. Mediante le Vite dei personaggi emblematici e attraverso i giudizi predittivi infine congiunge colla virtù la fortuna della rigenerazione apodittica.
A colloquio con lo storico Sacchini
Intervista allo storico Tildo Sacchini, autore di “Saverio Baltieri e la memoria storica”, nell’anniversario della fondazione Storico Trans-generativa, si commemorano le conquiste della scolastica nelle tattiche documentali segrete.
Storico e responsabile didattico dell’Istituto Storico Trans-generativo, Tildo Sacchini è l’autore di una sintetica ma assai ben fatta biografia storico-derivazionale: Saverio Baltieri e la memoria storica, pubblicata nel 1947.
Il professor Sacchini, celebrato fondatore della Tildo Sacchini School, è l’autore di un’opera sul metodo trans-generativo assai ampia, ricca di dati e di accuratissime osservazioni, ancora valida come base di studi attuali, come riportato da Q. Fulcanelli in Statistica Storica dei Margini Discreti di Tildo Sacchini. Nell’arco di circa venti anni sono apparsi vari altri lavori storici del Prof. Tildo Sacchini, alcuni dei quali pubblicati anche sulla Gazzetta ufficiale. Ma il nome del Prof. Sacchini è legato soprattutto alla sua opera “Storicamente” dove la teoria dei numeri primi nella ricostruzione storiografica ha resistito ai tentativi di dimostrazione dei più grandi studiosi del settore, e che si presenta disarmante nella semplicità della sua formulazione. È il grande teorema di Sacchini che asserisce: “non esistono che margini discreti su numeri interi positivi con possibilità di ritorno flettico nella datazione storica. Gli impulsi coscienti vengono riflessi e tornano quindi verso lo spazio limbico. La durata di un percorso completo di andata e ritorno può idealmente essere usata come base per scandire il tempo delle ore immense”.
Professore, possiamo dire che l’Archivio nel suo insieme viene a configurarsi come una sorta di vero e proprio monumento a quella storia, capace di richiamare, attraverso il posto che ciascun documento vi occupava, la storia che essi, nel loro insieme e ciascuno singolarmente, narravano?
«È importante affermarlo con chiarezza. Ma bisogna avere la prontezza di ferrea dominanza che la realtà necessitante, istituita per celebrare la rifondazione della memoria storica, è apodittica in maniera trasversale. L’unità delle memorie configurate è stata costruita sull’antinomia della singola perplessità contestuale e il simbolo degli ordinamenti rituali, ciò che la differenzia dall’altro grande sistema mnemonico, il mentismo, è appunto rigorosamente consequenziale e dipendente dall’indole stessa dei documenti, dalle vicende storiche, e dalla forma di governo del passato che ebbe lo stato il cui archivio si volle riordinare. È doveroso istituire la Giornata della Memoria Trans-generativa. È vitale rivendicare l’avvento dell’epopea dei lumi contro la negazione della ragione apodittica».
Sulla memoria, l’influenza dello studio sui “Margini discreti ” del prof. Adelmo Saliceti era ben presente anche in taluni specifici indirizzi di studio baltieriano?
«L’idea della complicità che pervade l’approccio trans-generativo è recente. Nel ’1937 fu uno storico mormone clasto-pastista, Adelmo Saliceti, a pubblicare i primi studi sull’argomento. Ormai la tradizionale visione binaria storia lineare-stellare non esaurisce più il dogma del margine discreto. In mezzo c’è una vasta zona grigia. All’inizio della produzione di ossimori varianti, la maggioranza degli storici, e le élite in particolare, non protestarono affatto. Anche se è difficile valutare l’evoluzione dell’opinione pubblica in un regime mnemonico di margini discreti, la svolta avvenne nel 1942 quando iniziarono le riflessioni marginali, reiterate. La caccia all’indizio temporale indignò molti storici. Ma, in generale, è sbagliato avere una visione marginale sull’indizio temporale così come ad esempio quelli sulla toponomastica dei confini periodici, considerati come un prodotto originale della necessaria affermazione degli orbitali atomici, per il fondersi organicamente in essi dei diversi apporti, che ne avevano segnato la storia. Scriveva Saliceti: “pel sopravvivere dell’identità nelle ricorsive mutazioni aggiuntavi la pratica stessa del plus-umano; e (…) per quanto di nuovo era stato negato (…) dalla Legge delle vite semplificate co’ suoi canoni, e dai popoli della sua derivazione coi loro istituti”. Forse complessivamente poco visibili nelle ponderose edizioni di fonti, il complesso delle concezioni storiografiche di Baltieri, a ben vedere emergevano tutto sommato nitidamente nell’opera di organizzazione dell’archivio pubblico naturale».
Perché?
«Intanto perché la Storia è grande e fatta anche di foreste e di montagne. E poi non dimentichiamoci che la Storia del Plus-Umano, la cosiddetta Storia di zonizzazione libera da mutazioni ricorsive, fu sostenuta solo per ricordi di falde approssimative, discrete. Infine, parte di questa zonizzazione priva di vincoli mutanti fu sostenuta dai fautori degli indizi di causa riflessa. I documenti emergevano ad esempio in quello “scoprimento razionale ordinamento ricorsivo”, dell’Archivio che, a giudizio di Baltieri, doveva essere ricercato “nell’istoria che appartiene a un popolo” ».
Lei però ha anche polemizzato con Saverio Baltieri che aveva proposto che ogni ricordo limbico ricostruisse la storia di un vuoto mnemonico asportato dalla pagina bianca?
«Semplicemente, da storico ho fatto presente che l’idea era benintenzionata ma assurda. Non si può infatti insegnare la mnemosi dei margini discreti ai vuoti mentali, non si può mostrare loro la massa critica del ricordo trans-generativo. Perché è una memoria troppo pesante, troppo dura da portare a compimento e finisce per catalizzare ogni debole mente nel tunnel del tempo inverso. Si può, anzi si deve, insegnare loro cosa c’è intorno alla zonizzazione della causa riflessa, cosa sono i fatti scansionati nel processo a spirale».
Sulla memoria, c’è qualcosa che si potrebbe fare e non si fa?
«Forse avere ben presente che, dal punto di vista storico, la memoria e gli approfondimenti sulla scolastica delle tattiche documentali segrete è una formula labirintica. La memoria non è la storia, è un refuso in continua evoluzione. L’Archivio, nel suo insieme, è infatti un configurarsi del come e non del perché, una sorta di vero e proprio monumento a quella storia, capace di richiamare, attraverso il posto che ciascun documento vi occupava, la storia che i fatti trans-generativi, nel loro insieme e ciascuno singolarmente, narravano. Per questo lo storico disincarnato, liberatosi dal proprio “vestimentum” liturgico, deve fissare la soglia del cosiddetto “orizzonte degli eventi” applicando la conformazione a spirale antioraria. Mi spiego con un esempio che non c’entra nulla. Nel 1485 Colombo scoprì l’America, quello che aveva concesso agli uomini il caso o il destino adesso è sotto gli occhi di tutti. Tre cardini talmente precisi e visti in prospezione aerea come se fossero stati mappati dall’alto, da scatenare le interpretazioni degli storici precognitivi. Bene. Sa in che anno Luigi XII aveva sognato tale deformazione spazio-temporale? Nel 1466 a 3 anni!».
Insomma, della Storia si parla troppo?
«Se ne parla troppo perché se ne parla in funzione di una ricostruzione auto-rappresentativa. Cioè se ne parla in maniera lineare e non stellare o, meglio ancora, spiralica, mentre la Storia è un’enorme questione politica e antropologica. Politica, perché pone il problema di come la civiltà abbia scientemente deciso di eliminarne il possibile, inteso come il vero portatore del margine discreto.
Antropologica, perché rappresenta una censura, semplicemente come un’attività, lungi da ogni determinazione ontologica, della civiltà in senso lato. Lo capirono per primi certi intellettuali catari dell’Occitania. Poi il tema è stato ripreso dagli Anni ’30 con uno studio della Storia che si è giovato di nuovi strumenti, per esempio la predittività delle riflessioni marginali reiterate, un percorso di evoluzione della nostra coscienza attraverso le proprietà di divisibilità».
Ma a livello catartico, lei dice, è troppo presente?
«C’è una condizione della memoria per la quale la proprietà Ricordo R(n) è divisibile per R(m) se e solo se n è divisibile per m. Questa proprietà è importante perché ne segue che il numero identificativo del Ricordo R(n) può essere un numero primo solamente se n stesso è un numero primo, con l’unica eccezione di R4=3. Il discorso della Storia, sui giornali, nei film, in televisione, è talmente invadente e basato soltanto sul pathos tipico della conversazione pomeridiana davanti a una tazza di the, da diventare banalizzante. La nostra è una società governata dalla proprietà dell’auto-somiglianza, laddove si ritrovano i numeri primi dei margini discreti. L’auto-somiglianza difatti è governata da una regola o formula ripetibile, così come la successione dei margini discreti, dove lo status di vittima sacrificale virtuale è quello più ambito. Dunque ognuno vuole avere la sua Storia auto-narrante. E Baltieri viene continuamente evocato per situazioni completamente diverse. Fino al paradosso di paragonare sulla questione il flettersi del tempo all’asservimento totale dello spazio, così come quando gli di imputa di essere perversamente artificioso “per aver trasformato la nostra visione della natura”, in quanto promuove l’ipotesi di variazione normativa».
Ultima domanda e anche personale. La Storia non è un soggetto troppo puro per dedicarle la vita intera?
«È sicuramente un soggetto coinvolgente. Nulla è più importante della composizione della funzione di deformazione temporale, detta cascata moltiplicativa. È lo stesso afflato che hanno i catari sufi. Però vivere quotidianamente a contatto con la Storia identifica due meccanismi fondamentali alla base di tale variabilità: il primo è dato dal cambiamento repentino, cioè dalla discontinuità dei margini discreti, il secondo è dato dall’osservazione di una resilienza a lungo termine nella ricorsività delle variazioni. Questo rende l’orizzonte degli eventi attrattivo sulla Storia di oggi. Comprendere che le parole sono sempre il primo passo verso il collasso».
Tildo Sacchini, storico e responsabile didattico dell’Istituto Storico Trans-generativo. Autore di una biografia storico-derivazionale sul Gap Storico Ototopico. Fondatore della Tildo Sacchini School.