Studi Ricerche Contemporanee, originariamente Giochi del senso e/o non-senso, è un collettivo nato a Roma nel giugno del 1996, che ha dato vita a una serie di iniziative nel biennio 1996-1997, nello spazio pubblico urbano e in contesti istituzionali dell’arte. Mai scioltosi formalmente, dal 1997, i suoi costituenti continuano a riunirsi periodicamente. Il collettivo ha carattere aperto, la sua formazione non ha mai seguito le prescrizioni programmatiche di alcun manifesto. Il numero dei partecipanti alle riunioni e agli eventi è variato nel corso del tempo per adesione spontanea. Non si tratta tuttavia di un nome collettivo ad uso libero, per cui chiunque se ne possa appropriare per condurre azioni indipendenti, anche se ispirate a principi analoghi. Ad ogni iniziativa pubblica ideata e organizzata dal collettivo i nomi di coloro che in quel momento ne fanno parte sono esplicitati in comunicati e documenti: sono gli operatori che condividono, anche solo per quell’occasione e il tempo necessario per la sua preparazione, lo spirito, le intenzioni, le finalità che costituiscono in quel momento il fondamento dell’aggregazione.
Per il biennio 1996-1997 vanno menzionati tre momenti di punta: Il gioco del senso e/o non-senso (1996), Invito alla Quadriennale (1996), Nomi cose città (1997). Ognuno ha rappresentato un’occasione di riflessione, sviluppo e anche parziale ripensamento della strategia del gruppo.
Il primo nucleo del gruppo Giochi del senso e/o non senso, si forma alla fine del 1995, dall’incontro tra Sergio Caruso, Marco Evangelista, Patrizio Pica, Giuseppe Polegri, Sandro Zaccardini, che avevano partecipato alla collettiva auto-organizzata Terapie visive (a San Lorenzo presso Ass. Cult. D.T.T., poi replicata nello stand temporaneo di una libreria in Piazza Fiume) e Antonio Colantoni e Alessio Fransoni, che avevano esposto nel novembre di quell’anno in una personale dal titolo Arte Domestica allestita contemporaneamente in una galleria d’arte (Associazione Operatori Culturali Flaminia 58) e sugli scaffali di un supermercato di Via della Pineta Sacchetti. A loro si aggiungono Pino Boresta e Lorenzo Busetti, che si erano ritrovati insieme ai primi in mostra a Bassano in Teverina (Rassegna internazionale di arte e stelle cadenti, 10-20 agosto 1995). Le affinità tra le poetiche e le modalità operative portano il gruppo a riunirsi periodicamente nel locale Assenzio di Testaccio.
Nello stesso periodo le stesse persone sono coinvolte e partecipano individualmente con dei materiali al secondo bollettino di DisordinAzioni. Il bollettino, ideato e diretto da Giuliano Lombardo, raccoglie progetti e resoconti di interventi urbani deturnanti.
Durante le riunioni all’Assenzio viene scritto il progetto del primo evento di gruppo: un invito esteso a chiunque a portare in un luogo deputato, aperto al pubblico, un oggetto qualsiasi che considerasse “significativo” e per qualsiasi ragione degno di essere mostrato, anonimamente.
L’evento si sarebbe intitolato Il gioco del senso e/o non-senso. Nello scritto teorico che accompagna il progetto emerge bene l’intento di mettere in gioco l’identità autoriale e il dispositivo tipico dell’arte contemporanea (da Duchamp in poi), in cui è il contesto a determinare il valore artistico di un oggetto. L’idea è di sperimentare su questi temi, individuati come determinanti.
Pino Boresta inoltra una copia del progetto a Cesare Pietroiusti e ai curatori Claudia Colasanti e Carolyn Christov-Bakargiev, che partecipano a una riunione all’Assenzio e iniziano a interessarsi alle iniziative del gruppo. Viene intanto trovato il luogo e distribuiti inviti e locandine:
«Al “gioco del senso e/o non-senso” possono partecipare tutti.
Hai un oggetto (o un’immagine o un testo, o qualunque altra cosa), fatto da te o da altri che a tuo parere comunica qualcosa di significativo e che, per qualsiasi motivo, ti piacerebbe far vedere?
Il “gioco del senso e/o non-senso” ti propone la possibilità di mostrarlo, senza alcuna spesa e per il solo piacere di farlo.
La raccolta e l’esposizione del materiale avrà luogo a partire dal giorno 17 giugno e durerà per l’intera settimana presso la libreria “Forum” di via Rieti 11 (orario 18.30 – 20.30)».1
Per una settimana decine di persone portano nell’atrio della libreria, dove è stato sgomberato lo spazio e sono stati allestiti dei tavoli, i più svariati oggetti: una maglietta, un sasso, una vecchia tessera del PCI, un libro usato, un quadro, un vasetto di olive sott’olio, un soprammobile prelevato da casa, una bottiglietta contenente urina, una Vespa e molto altro. La Libreria Forum per una settimana si trasforma in un luogo-evento, senza giorni e orari di inaugurazione o di finissage, e con una compenetrazione tra i tempi dell’allestimento e quelli dell’esposizione, essendo il numero di oggetti crescita fino a poche ore prima dello smontaggio. I partecipanti e il pubblico vengono, portano materiale, ritornano, coinvolgono, si coinvolgono, in un’esperienza di fruizione e interazione aperta e continua.
Dopo l’evento il gruppo inizia a identificarsi e a darsi un nome, lo stesso dell’evento, e da quel momento opera come Giochi del senso e/o non-senso. Ne entrano a far parte Edoardo De Falchi e Cesare Pietroiusti, e le riunioni si tengono nello studio di quest’ultimo in vicolo Savelli. In questo periodo il gruppo partecipa a una mostra a Bologna, a Villa delle Rose, per la cura di Claudia Colasanti.
In quello stesso periodo Pietroiusti viene invitato a partecipare alla XII Quadriennale di Roma. 2 Pensa di estendere l’invito ad altri artisti che ritiene significativi, condividendo il suo spazio nella mostra con loro. Tra i soggetti che ritiene di invitare c’è il collettivo Giochi del senso e/o non-senso. Dopo una serie di riunioni con il gruppo si decide di dare una diversa configurazione al progetto, e viene proposto di replicare l’esperienza della Libreria Forum negli spazi della Quadriennale: l’invito non sarà esteso ai soli artisti inizialmente selezionati da Pietroiusti, ma a veramente chiunque intenda partecipare. L’operazione è nota come Invito alla Quadriennale:
«I “Giochi del Senso e/o Non-Senso”, un gruppo che opera a Roma e si interessa alla messa in questione delle barriere fra arte e realtà, fra cultura alta e cultura bassa, fra artisti e non artisti, ha accolto ed anzi ampliato la proposta di uno degli invitati alla Quadriennale (Cesare Pietroiusti) di allargare ad altri artisti l’invito a partecipare, progettando di estendere l’invito a tutti, anche a chi non ritenga di essere un artista: quindi chiunque avesse un’immagine, o un testo o qualunque altra cosa che desiderasse esporre all’interno della XII Quadriennale, è stato invitato a farlo in modo del tutto libero e gratuito. Sono stati così raccolti ed esposti tutti gli oggetti pervenuti entro la data del 25 ottobre 1996.»3
Il documento è firmato dai costituenti il collettivo in quel momento, a cui si aggiungono anche Claudia Colasanti, Bruna Esposito, Davide Radici e Paolo Tognon.
L’evento ha dimensioni decisamente importanti e richiede programmazione e uno sforzo organizzativo notevole, in quanto la sala destinata – nell’ala Mazzoniana della Stazione Termini, una delle due sedi della Quadriennale insieme al Palazzo delle Esposizioni – esige, per ragioni di sicurezza, che la movimentazione degli oggetti a mostra aperta sia regolamentato, ma l’accumulazione di oggetti pone diversi problemi anche in rapporto alla Quadriennale. All’interno dello spazio si ospitano performance varie, mentre arrivano anche pacchi indirizzati direttamente alla Quadriennale, via posta normale, contenenti opere da esporre. Partecipano oltre 250 operatori, e l’esposizione degli oggetti è sottoposta a turnazione.
Intorno all’iniziativa l’interesse è ampio, tanto che dopo la chiusura della Quadriennale si decide di organizzare un incontro pubblico tra tutti coloro che avevano contribuito, insieme a critici e altri artisti simpatizzanti e curiosi. Un’assemblea numerosa che affolla un locale seminterrato di via dei Serpenti 34. Si discute per ore di teoria e di politica dell’arte, dello spirito dell’iniziativa, di una possibile comunità di artisti, di un movimento e altro. L’assemblea non è né condotta né moderata da i Giochi, che partecipano tra gli altri in un clima di parità, ognuno prende la parola spontaneamente. A quell’incontro non ne seguono tuttavia altri. I Giochi del senso e/o non-senso intanto ricevono l’invito alla mostra Città Natura programmata per il 1997 a Palazzo delle Esposizioni, per la cura di Christov-Bakargiev.
L’evento alla Quadriennale chiude il primo ciclo di attività del collettivo. Nelle riunioni delle settimane seguenti si discute dell’iniziativa, vengono evidenziate le differenze di risultato, malgrado l’analogia di intenti, con quella della Libreria Forum, i condizionamenti dovuti alle diversità di comunicazione e al contesto – l’istituzione Quadriennale – che avrebbero portato nel secondo caso a una partecipazione quasi esclusiva di operatori del mondo dell’arte, nonché al riemergere di una singola figura di autore, trasformando anche il gruppo di autori in un’opera ‘relazionale’, dell’autore già selezionato. Si confrontano interpretazioni discordanti, le divergenze teoriche si fanno inconciliabili e portano a un allontanamento del gruppo da Pietroiusti (con la dissociazione del solo Boresta).
La programmata partecipazione alla mostra Città Natura, per questi motivi, richiede un cambio di passo, che viene marcato in primo luogo con il cambiamento del nome del collettivo in Studi Ricerche Contemporanee. Si uniscono al gruppo Michele Cavallo, Marco De Rosa, Giuliano Lombardo, Federica Luzzi. Città Natura si propone di indagare con i mezzi dell’arte il complesso rapporto tra la città e la natura, mettendo in scena protagonisti della neoavanguardia internazionale della seconda metà del Novecento insieme a esponenti delle ultime tendenze. In questo quadro Studi Ricerche Contemporanee propone di utilizzare la sala conferenze del Palazzo delle Esposizioni per un lungo convegno-giornata di studi – nella comunicazione, letteralmente «incontro e/o dibattito»4 – su diversi argomenti che ruotano in maniera più o meno marginale e immaginifica intorno al tema centrale della mostra.
Su sollecitazione della curatrice si presenta anche un lavoro per una delle sale espositive. L’affissione realizzata come contributo alla sezione espositiva – la gigantografia di un ritratto fotografico di Leni Riefenstahl cui erano stati applicati dei baffetti da Hitler – viene però rimossa subito prima dell’inaugurazione. Nell’altra ala del Palazzo si tiene in contemporanea una retrospettiva sulla regista tedesca,5 e l’opera di Studi Ricerche Contemporanee, che evidenzia l’ambiguità di tale compresenza, è evidentemente giudicata sconveniente, e censurata.
L’incontro dal titolo Nomi Cose Città, per Città Natura, è l’evento più ampio e impegnativo organizzato dal collettivo. È costituito da 10 diversi panel che si sovrappongono e si succedono senza interruzione sullo stesso palco dalle 10 alle 17 della medesima giornata. I panel secondo il programma sarebbero stati dedicati a: “Essere anziani in città”, “Autoproduzione diffusa / Avanguardia di massa”, “Lo spazio della fede tra tolleranza e differenza”, “Il linguaggio naturale della città”, “Roma di notte: momenti di libertà o aggressioni acustiche?”, “Un referendum contro la cacca? A questo dovremo arrivare?”, “La “nuova” sessualità”, “L’inquinamento in città”, “Stati alterati di coscienza. Sogni di un paesaggio naturale”, “Traffico e trasporti pubblici in città”.
Gli appunti redatti collettivamente chiariscono lo scopo e le linee guida del progetto:
«[offrire] agli intervenuti la possibilità di dibattere verbalmente (con tecniche e mezzi sia audio che video) stimolando un confronto in cui i confini delle varie micro-problematiche (sociali, ambientali, animaliste, morali, ecc.) tenderanno a confondersi. L’intervento costituisce una critica alla cultura della separazione e quindi all’illusione di una indipendenza che dà luogo a un proliferare di specializzazioni responsabili di autoesclusioni e di competenze iperspecifiche»6
L’intenzione non è tanto quella di far scattare il dispositivo dello straniamento giocando tra oggetto e contesto, ma di mettere in frizione diversi contesti linguistici (tra cui quello dell’arte) tra loro, con una radicale messa in discussione di ogni linguaggio e contesto professionistico (compreso quello dell’arte).
Ogni panel prevede più relatori, scelti perché considerati esperti di diversi aspetti della materia oggetto di discussione. Per far fronte all’intensa attività di organizzazione – inviti, incontri con gli esperti, pubblicazione di programmi, progettazione della scaletta, realizzazione e affissione di locandine – tutti i membri del gruppo sono impegnati per mesi, agiscono in maniera coordinata, distribuendosi i compiti. Per ognuno dei temi scelti venne creato un sottogruppo con il compito di preparare gli interventi, trovare, contattare, invitare e gestire ospiti e relatori; creare, stampare e diffondere locandine e pubblicità ad hoc, ecc. Vengono utilizzati come base operativa, (definita dal gruppo come una delle sue “sedi aleatorie”), i locali di una galleria d’arte in Via Pomponio Leto, dotati di utenze, telefoni, fax, arredi da ufficio e spazi per gli incontri e le riunioni.
Il convegno vede la partecipazione di un pubblico numeroso – nel corso della giornata la sala è quasi sempre affollata -, e vario. I momenti di dibattito tra gli “esperti” – tra i tanti: bioarchitetti, rappresentati di comitati di quartiere, psicologi, antropologi, celebrità della galassia LGBT romana, un buddista e un portavoce della setta del Reverendo Moon – si intrecciano a contributi e interventi fuori da ogni possibilità di controllo, come l’uso libero di lavagne luminose e del videoproiettore, nonché dell’impianto per la traduzione simultanea. Per i presenti si susseguono situazioni diverse, su una molteplicità di canali, tra l’ascolto diretto dei relatori, la lettura dei commenti proiettati, l’intromissione di un contro-programma audio diffuso attraverso le cuffie per la traduzione simultanea indossate da buona parte del pubblico, con sondaggi surreali e improvvisazioni di un sassofonista chiuso in una delle cabine di regia. Una compresenza e simultaneità di letture parallele e stati di realtà che vuole risultare di difficile o impossibile collocazione.
1 Giochi del senso e/o non-senso, Il gioco del senso e/o non-senso, invito-locandina per l’evento alla Libreria Forum, Roma 1996.
2 XII Quadriennale. Italia 1950-1990: Ultime generazioni, Roma, Palazzo delle Esposizioni e Ala Mazzoniana della Stazione Termini, 25 settembre – 25 novembre 1996.
3 Giochi del senso e/o non-senso, Invito alla Quadriennale, invito-manifesto, Roma 1996.
4 Cfr. Città natura. Mostra internazionale di arte contemporanea (catalogo della mostra, Palazzo delle Esposizioni 21 aprile – 23 giugno 1997), F.lli Palombi, Roma 1997.
5 Leni Riefenstahl. Il ritmo di uno sguardo, Roma, Palazzo delle Esposizioni, dal 9 aprile al 12 maggio 1997.
6 Studi Ricerche Contemporanee, appunti per il progetto Nomi Cose Città, cit.
Tesi a confronto
Interdisciplinarità, apertura, orizzontalità, ludicità. Arte/non-arte, gruppo/non-gruppo,identità/anonimato
La Chiesa Scientifica dell’Antitesi
Il testo è stato pubblicato sul libro “DETONAZIONE! – PERCORSI, CONNESSIONI E SPAZI ALTRI NELLA CONTROCULTURA!”
DETONAZIONE!
PERCORSI, CONNESSIONI E SPAZI ALTRI NELLA CONTROCULTURA ROMANA DEGLI ANNI NOVANTA
Il decennio 1990-1999 a Roma è stato una prolungata sequenza di detonazioni che ha contribuito a far saltare per aria definitivamente la cultura di un’epoca iniziata col dopoguerra.
Percorsi, connessioni, luoghi altri, eventi, sperimentazioni gioiose e desideranti di tantissim* compagn* hanno messo a nudo con molto anticipo la struttura di potere ed economica che si preparava a precarizzare definitivamente le nuove generazioni e a minacciarne la carica sovversiva. Quest* nuov* militanti si sono presi per l’ultima volta l’egemonia culturale del loro tempo con tattiche e strategie mai viste prima. Era un’epoca difficile perché ci si intendesse, in cui era quasi impossibile distinguere il falso dal vero e richiamarsi all’autentico come per i situazionisti negli anni Sessanta o affermare con sicurezza il “Niente è vero, tutto è possibile” degli hippie e della beat generation, dire il “No future” del punk: la situazione era nuova e le vecchie formule sembravano girare a vuoto.
Con nessuna garanzia in assoluto questa generazione ha vissuto in bilico e ha lottato come un esercito di acrobati. Il movimento antagonista e la controcultura che esprimeva dimostrò che occupazioni, squattaggio, autogestione, autoproduzione, autodistribu-zione, femminismo, cultura LGBT, antifascismo di strada erano un mondo che nonostante tutte le difficoltà fosse davvero percorribile.
Questo libro è anti-nostalgico, non parla a chi c’era allora, ma alle nuove generazioni per traghettare i saperi e le esperienze dei Novanta romani, epicentro di un terremoto di portata europea, averne conoscenza e prendere consapevolezza che si può fare ancora, diversamente. Questo libro vi mette a disposizione quasi tutto ciò che allora è stato realizzato, ma quando avrete finito di leggerlo, prendete quello che vi serve e fregatevene altamente di dover render conto a quella stagione per fare qualcosa di davvero detonante ORA.
RAVE UP
Detonazione!
Roma esplosiva
Detonazione! è un viaggio pericoloso nella controcultura anni Novanta.
Di Demented Burrocacao
Non c’è dubbio che nel periodo che stiamo vivendo ci siano tutte le premesse per qualcosa di grosso in avvicinamento: forse cambiamenti radicali, di rivolta, forse una vera e propria… detonazione. Ecco, Detonazione! è il titolo del libro uscito da pochi mesi su Rave Up (la storica etichetta alter punk , tra le più toste in circolazione) , che raccoglie le testimonianze dei protagonisti, dei percorsi, delle connessioni e degli spazi altri nei movimenti controculturali romani degli anni novanta: quella dei CSOA, delle lotte sociali e studentesche, dell’ ufologia radicale, dei rave, e l’ elenco di esperienze è lunghissimo.
Esperienze tutte raccolte in queste pagine, che in qualche modo prevedevano gli scenari futuri , con un piede nei decenni precedenti ma con la differenza di non poter “richiamarsi all’autentico”, come da note di copertina: era difficile distinguere il vero dal falso. Un’epoca difficile, quindi: e siccome il libro è a tutti gli effetti pensato come “anti nostalgico”, abbiamo quindi intervistato le due menti dietro questo progetto, Pierpaolo De Iulis e Daniele Vazquez, due personaggetti “pepati” sopravvissuti a quel momento storico (per l’ occasione un’unica entità) per capire se su quel periodo si è equivocato o no.
Ad ogni modo in questo nostro incontro/scontro verbale in cui “niente è vero, tutto è permesso”, per usare uno slogan Burroughsiano allora molto diffuso, rivive la vis polemica di quei tempi “dispari”. Decidete voi cosa è vero e cosa è falso…
…Segue
«Detonazione!», luoghi e pratiche dell’underground
Il libro. Percorsi, connessioni e spazi altri nella controcultura romana degli anni Novanta, da Rave Updi Luca Benvenga
Detonazione! Percorsi, connessioni e spazi altri nella controcultura romana degli anni Novanta (Rave Up, pp. 662, euro 25) è un’antologia con autori «molt* compagn*», come riporta la cover del libro. Documenti politici, flyer di serate e momenti di collegialità romana negli spazi sfuggiti al dominio del capitale e al controllo istituzionale hanno qui il loro posto, come a voler accompagnare le narrazioni e imprimere nel lettore la forza dirompente dell’eloquio per mezzo di una cultura visuale.
Il cut-up di argomenti che compongono il volume è di immediata evidenza. Ogni tematica è incline alle sensibilità dei singoli autori, ai loro percorsi capitolini di vita, ricerca e lotta. Lo scenario sono le università occupate negli anni Novanta sull’onda del movimento la Pantera, i Csoa e altri luoghi dell’underground romano. Luoghi in cui si combina la grammatica di strada a sperimentazioni multimediali e digitali, quest’ultime ai tempi ancora in grembo e pronte a un’impennata con la cultura hacker e cyber.
La musica è quella reggae, rap, elettronica e tecno, sonorità tra le quali per lunghi tratti è stata viva una sorta di fusione, attraverso l’utilizzo di campionatori, sintetizzatori e drum-machine, prima che ognuna delle culture musicali seguisse il suo stile di vita e si incanalasse verso percorsi sui generis.
Ciò è l’ulteriore riprova di come le sperimentazioni sonore abbiano da sempre dei canoni di base condivisi, e il file rouge è apoditticamente la musica. La «personificazione» marxiana del Luther Blisset Project trova facile sponda nell’antropologo Massimo Canevacci. Ubiquità e molteplicità dell’identità sono l’unica possibile arringa da tenere in un commissariato in difesa dei Situazionisti romani, accusati dell’occupazione di un bus dell’Atac e all’atto di identificazione hanno indistintamente risposto di chiamarsi con il nome di questo personaggio pubblico immaginario. I romani del Luther Blisset parlano, al riguardo, di mitopoiesi e condividualità, in un progetto che ha assunto un’importanza tale per cui il «momento generativo del mito» che si riproduce nell’«essere in comune alleggerito dai concetti di comunità e collettività» trova simultaneamente spazio nelle realtà bolognese e londinese, a conferma della sua forza generatrice e aggregante.
Non è difficile immaginare discussioni in affollate assemblee pubbliche a dibattere di teoria gender, di politica del corpo, erotismo e pornografia da una prospettiva eterotipica focaultiana, o le campagne a favore del reddito universale per superare le contraddizioni tra militanza e la necessità di dover lavorare per vivere. Osservazioni che sono il frutto di link mentali e di un battagliare condiviso, in cui il narcisismo egoistico neoliberista è ancora assume le fattezze di un incubo lontano dall’immanenza.
Per chi ha frequentato questi territori, il libro è un’immersione in un passato non più sovrascrivibile. Tuttavia, è evidente che il suo scopo è invitare soggetti e collettivi contemporanei ad attingere dall’epicentro delle culture urbane degli anni Novanta, saccheggiando idee e pratiche, da riadattare o detournare anche ben oltre il XXI secolo, in cui la mediatizzazione della quotidianità la sta spuntando sui rapporti face-to-face.
«Detonazione!», luoghi e pratiche dell’underground
di Christian Dalenz
Anni ’90. Intuitivamente, qualcuno tra i più giovani potrebbe pensare che quelli furono solamente tempi di riflusso. Ed effettivamente, era finita l’Urss e si appannava il sogno di società alternativa che il campo socialista prometteva. E invece no.
Gli anni ’90 furono forse l’ultima decade in cui una cultura davvero dirompente rispetto a quanto propugnato dai poteri dominanti e dai mass media poté trovare legittimità e ampio consenso. Un libro di recente pubblicazione, Detonazione!, racconta quello che successe in questo senso a Roma.
COS’È “DETONAZIONE!”?
Il volume racconta un’incredibile confluenza di esperienze nello stesso periodo storico. Manifestazioni giovanili (il movimento della Pantera), di occupazione e riapertura di spazi pubblici (il Forte Prenestino e altri centri sociali), di giornalismo ed editoria alternativi (Luogo Comune, DeriveApprodi, Radio Città Futura ecc.), di musica (Banda Bassotti, Ufo Diktatorz, le produzioni di Helena Velena e tanti altri gruppi), di rivendicazioni sessuali (Orma Nomade e Fetish Hegeliani, tra gli altri) e di varie esperienze culturali (i Luther Blisset, poi confluiti nei Wu Ming, e Ufologia Radicale tra gli altri). Tutto raccontato in una mastodontica opera di 662 pagine, ideata dallo scrittore Daniele Vazquez.
… continua
Interdisciplinarità, apertura, orizzontalità, ludicità. Arte/non-arte, gruppo/non-gruppo,identità/anonimato
di Patrizio Pica
Nel 1995, mi sono trovato a discutere, o meglio, a ridiscutere con alcuni amici a Roma il significato del nostro agire culturale. Si è pensato anche di fondare, per gioco, una sorta di setta, insomma un qualcosa, con un linguaggio “forte”, efficace ed operativo che, con domande/affermazioni-stimolo, incidesse sulla psicologia e sul comune “senso del quotidiano”.
Dopo successivi passaggi dialettici è nato “Il Gioco del Senso e/o Non-senso”. Gioco inteso come gioco linguistico, per dirla alla Wittgenstein, serio ed ironico allo stesso tempo, ma pur sempre un gioco. Questa è stata la base operativa della nostra progettualità.
Ogni gioco ha le proprie regole. Si è partiti così dall’attuazione dei più semplici principi democratici. Possiamo seguire – a mò di esempio chiarificatore – un testo sulla Mail Art di Vittore Baroni:
–Comunicazione diretta, senza filtri o censure, funzionante nei due sensi.
–Totale apertura (nessuna selezione dei partecipanti).
–Orizzontalità (ovvero struttura anti-gerarchica e dialogo a livello paritario).
–Non competitività (e assenza di fini di lucro).
–Anti-dogmatismo (refrattarietà a regole e codici).
In pratica le “anti-regole” del networking, ossia dell’intrecciare complesse reti di scambi. Ma ben presto ci si è resi conto dei grossi problemi derivanti dall’eccessiva apertura all’esterno. Problemi di sopravvivenza legati al mondo dell’arte,al mondo delle mode culturali, al rischio di creare solo pensiero e di cadere nella trappola del metalinguaggio. In sintesi, il problema del contesto di riferimento e delle sue possibili strumentalizzazioni.
Chi dice che il contesto di riferimento debba essere solo e soltanto quello dell’arte ? Mi piacerebbe rispondere a questa domanda con le parole di Stewart Home, citando alcuni brani tratti da The Assault on Culture:
(…) la parola “arte” ha assunto il suo significato moderno nel diciottesimo secolo, allora ogni tradizione di opposizione all’arte deve essere fatta risalire a quel periodo – o a uno successivo.
… continua
La Chiesa Scientifica dell’Antitesi
di GRANDE COME UNA CITTÀ
Ventimila battute sotto i mari
La Chiesa Scientifica dell’Antitesi
Non esiste una realtà fuori dal linguaggio. Non esiste un linguaggio fuori dalla realtà.
(da un volantino diffuso dalla C.S.A.)
All’incirca nel 1997 uno strano bagliore cutaneo cominciò a diffondersi improvvisamente in tutti quelli che passavano attraverso la porta della cucina del mio appartamento. Proprio nel tratto più buio del corridoio, venendo dalla cucina, la pelle di chi passava cominciava ad apparire più chiara e quasi splendente. Le persone assumevano un aspetto impressionante e spettrale. A volte apparivano persino ridicole, per via delle facce colorate, stupite e fosforescenti. Irene, in particolare, si accendeva tutta in quell’angolo della casa; quando usciva dalla cucina la sua pelle sembrava emanare un bagliore rossastro; poi, lungo il corridoio, la sua luminescenza assumeva varie sfumature di toni diversi che formavano aloni intorno alla sua figura e si proiettavano – come quadri di Delaunay – sulle pareti, allora rivestite di una vecchia carta da parati chiara, appena ingiallita, con microscopici fiorellini.
All’epoca non ci avevo badato granché. Ero molto impegnato in un lavoro teorico che consisteva nell’elaborazione delle regole di quella che chiamavamo “l’arte della creazione dei partiti”. La creazione dei partiti era una forma di agitazione indotta con scopi artistici e filosofici, che stavamo mettendo a punto con un gruppo di artisti complottisti. In generale, si trattava di organizzare delle attività di gruppo, che noi chiamavamo ‘contesti linguistici’, con lo scopo, da una parte di realizzare progetti artistici, dall’altra di individuare delle contrapposizioni, che dovevano fornire le basi per la formazione di partiti tra loro opposti. Era una nobile occupazione, così almeno mi sembrava allora, quella specie di elucubrazione sofistica, mentre lo strano fenomeno luminoso del mio appartamento mi lasciava assolutamente indifferente.
… continua